Il trattamento dei disturbi gravi di personalità attraverso la psicoterapia focalizzata sul transfert di Otto Kernberg

Il trattamento dei disturbi gravi di personalità

attraverso la psicoterapia focalizzata sul transfert

di Otto Kernberg

di Margherita Baione

 

Premessa:

Nel presente lavoro sono stati sistematizzati e strutturati

in forma di articolo i contenuti trattati dal dottor Otto

Kernberg nel corso di uno dei workshop da lui tenuti

ad Anaheim lo scorso dicembre durante l’ultima edizione

del convegno Evolution of Psychotherapy. Nel workshop,

dal titolo “Transference focused psychotherapy

(TFP) of severe personality disorders” (La psicoterapia

focalizzata sul transfert nei disturbi gravi di personalità),

Kernberg ha trattato gli aspetti diagnostici e clinici

dei disturbi gravi di personalità e ha presentato a noi

partecipanti al seminario una serie di strategie e tecniche

che costituiscono i cardini del suo approccio psicodinamico

al trattamento dei disturbi di personalità.

Tra i numerosi relatori di fama internazionale i cui interventi

ho avuto la fortuna di seguire ad Evolution of

Psychotherapy, ho scelto di riportare proprio il lavoro

di Otto Kernberg in quanto ritengo che questo autore

rappresenti una pietra miliare nella storia della psicoanalisi

e della psicoterapia e sia uno dei maggiori psicoanalisti

ancora in vita.

La teoria di Kernberg, il suo modello evolutivo e psicopatologico,

l’approccio alla diagnosi e al trattamento, la

definizione di personalità e la descrizione dei disturbi

di personalità hanno avuto un’influenza determinante

nell’evoluzione del pensiero psicoanalitico e della psicoterapia

psicodinamica. Si pensi all’integrazione da

lui operata a livello teorico tra il modello strutturale e

quello delle relazioni strutturali, oppure alla definizione

di organizzazione borderline di personalità, o alla definizione

di diagnosi psicoanalitica; sono tutti contributi

che hanno promosso cambiamenti importanti nella

psicopatologia e sono parte fondamentale del bagaglio

formativo di ogni psicoterapeuta.

Ritengo pertanto che Kernberg nel corso di tutta la sua

carriera abbia contribuito in modo sostanziale all’evoluzione

e al progresso della psicoterapia e ben incarni,

quindi, lo spirito e la finalità di un evento quale Evolution

of Psychotherapy dedicato proprio al lavoro degli

psicoterapeuti che portano innovazione e sviluppo in

questo campo.

Inoltre ritengo che egli rappresenti un esempio vivente

di integrazione tra la tradizione, la storia della psicoanalisi

e della psicoterapia psicodinamica, che riflette soprattutto

la prospettiva teorico/clinica assunta dall’autore,

e la psicoterapia più recente fondata su criteri di

efficacia, brevità e verificabilità sul piano sperimentale,

che riflette invece una prospettiva empirica e di ricerca,

la quale anche ha sempre caratterizzato il lavoro di

Kernberg rendendogli possibile di continuare a proporre

un modello diagnostico e clinico e un approccio al

trattamento che, mantenendosi in linea con i cardini

del suo pensiero, continua ad essere attuale e ad avere

validità. 1. Introduzione

Otto Kernberg nel corso di un interessantissimo workshop

tenuto ad Evolution of Psychotherapy 2013

presenta un particolare tipo di approccio di psicoterapia

psicodinamica al trattamento dei disturbi gravi

di personalità, la psicoterapia focalizzata sul transfert

(Transference-Focused Psychotherapy). Il modello terapeutico

viene sviluppato da Kernberg al Personality

Disorder Institute di New York, di cui è direttore, in risposta

all’esigenza di trovare un trattamento efficace

per i cosiddetti pazienti “difficili”, e cioè quei pazienti

che non rispondono agli approcci psicoterapeutici tradizionali

e che sono di solito pazienti con gravi disturbi

della personalità.

In seguito a numerosi anni di lavoro clinico e ricerche

sperimentali, Kernberg e il suo team ne hanno poi

potuto verificare l’efficacia nel trattamento di questi

pazienti, sia su un piano clinico che su un piano sperimentale.

La psicoterapia focalizzata sul transfert viene

quindi presentata come un approccio di psicoterapia

psicodinamica efficace e validata empiricamente che

si configura come trattamento d’elezione per i disturbi

gravi di personalità.

L’intervento di Kernberg si struttura in tre parti principali.

In una prima parte sono descritte le caratteristiche

principali dei pazienti con disturbo grave di personalità

attraverso il costrutto di organizzazione di personalità,

con particolare attenzione alle innovazioni apportate

nella definizione, classificazione e diagnosi della personalità

gravemente disturbata. Sono quindi approfonditi

gi aspetti principali, le implicazioni cliniche e l’eziologia

dell’organizzazione borderline di personalità. Nella seconda

parte sono trattati i cardini del processo diagnostico

attraverso la presentazione dell’intervista strutturale,

strumento sviluppato da Kernberg per la diagnosi

di disturbo di personalità. La terza parte del workshop

è poi dedicata alla descrizione del trattamento vero e

proprio, prima definendo le linee generali della terapia

del paziente borderline e poi approfondendo con particolare

precisione la psicoterapia focalizzata sul transfert

dal punto di vista teorico e tecnico.

  1. Organizzazione di personalità

e classificazione diagnostica

La personalità è concepita da Kernberg come risultante

dall’interazione di una serie di aspetti, temperamento,

carattere, identità, intelligenza, che vanno a costituire

la peculiare organizzazione dinamica delle funzioni psichiche

che caratterizza ogni singolo individuo. Accanto

a queste dimensioni, che si strutturano a partire dall’interazione

tra variabili individuali ed esperienze relazio-nali, ruolo centrale è svolto da quello che Kernberg definisce

“sistema d’integrazione”, costrutto che si riferisce

fondamentalmente a quel senso interno di continuità

che deriva dall’integrazione del sé e degli altri significativi.

Il livello di integrazione del sé e degli altri significativi è

un costrutto che ha una ricaduta diretta in ambito clinico

in quanto consente di individuare a quale livello

di gravità si colloca la personalità disturbata: minore è

il livello di integrazione del sé e degli altri significativi

raggiunto, maggiore è il livello di gravità del disturbo di

personalità. Una delle principali caratteristiche del disturbo

grave di personalità è quindi rappresentata dai

problemi nella relazione con gli altri i quali, proprio a

causa di questa mancanza di integrazione, non vengono

percepiti in maniera realistica.

La mancata integrazione del sé e degli altri significativi

ha inoltre come conseguenza la cosiddetta diffusione dell’identità, altro parametro diagnostico cruciale per

differenziare un’organizzazione borderline di personalità,

la cui caratteristica principale è la appunto la

sindrome dell’identità diffusa, da un’organizzazione di

tipo nevrotico, caratterizzata di rigidità ma, allo stesso

tempo, da un’identità che può ancora essere definita

normale.

A proposito di classificazione diagnostica e di organizzazione

di personalità, costrutto storicamente legato

alla teoria psicodinamica e clinica di Kernberg, la Figura

1 presenta uno schema in cui l’autore mostra la

sua evoluzione teorica di tale concetto sulla base della

severità dei disturbi presentati e delle due dimensioni

centrali della personalità introversione-estroversione.

E’ interessante osservare a questo proposito la suddivisione

tra organizzazione borderline ad alto e a basso

funzionamento, che rappresenta un elemento di novità

rispetto alla classica categorizzazione di Kernberg.

Figura 1. Classificazione dei disturbi di personalità sulla base del livello di gravità dell’organizzazione sottostante e dei costrutti

di introversione-estroversione – Fonte: http://www.evolutionofpsychotherapy.com/handouts/

 

Allo stesso modo, altro cambiamento rispetto alla teoria

classica dell’autore è l’esclusione dell’organizzazione

psicotica, livello al quale non è più possibile parlare di

disturbo di personalità ma piuttosto di sindrome clinica

da inserire nell’Asse I del DSM. Pertanto, i disturbi di personalità

precedentemente considerati caratteristici di

un’organizzazione psicotica (paranoide, schizoide, schizotipico)

vengono ora inseriti nella categoria dell’organizzazione

borderline di più basso livello. Allo stesso

modo, disturbi precedentemente considerati caratterizzati

da una sottostante organizzazione nevrotica di

personalità (evitante, dipendente) sono ora considerati

appartenenti alla categoria dell’organizzazione borderline

di alto livello. Inoltre, se a livello di organizzazione

nevrotica il conflitto è sempre di natura sessuale, più

si procede verso l’organizzazione borderline di livello

grave, più la natura dei conflitti è fondamentalmente di

tipo aggressivo.

  1. Le caratteristiche dell’organizzazione borderline

di personalità, implicazioni cliniche ed eziologia

Le caratteristiche fondamentali dell’organizzazione

borderline di personalità sono per Kernberg sostanzialmente

tre: la diffusione dell’identità, che comporta

il non avere alcun concetto integrato di sé né degli altri,

le difese primitive (scissione, idealizzazione/svalutazione,

identificazione proiettiva, controllo onnipotente,

diniego) e l’esame di realtà incostante. A proposito di

quest’ultimo aspetto, Kernberg suggerisce di valutarlo

nel paziente attraverso l’osservazione di ciò che è inappropriato

nell’affetto, nel pensiero e nel comportamento.

L’esame di realtà, infatti, si riferisce sicuramente alla

capacità di differenziare il sé dal non sé, così come la

realtà interna da quella esterna, ma si riferisce anche

alla capacità di empatizzare con i criteri sociali di realtà

che possono rivelarsi nella congruenza degli affetti, nel

contenuto del pensiero e nel modo di parlare. Questi

tre aspetti devono essere adeguati al contesto, appropriati

in relazione all’interlocutore e socialmente condivisi.

Per esempio, un paziente che ridacchia mentre

ci sta raccontando la tragica morte di sua madre è un

paziente che probabilmente sta facendo difficoltà con

il mantenimento di un adeguato esame di realtà in quel

momento.

Per quanto riguarda, invece, le implicazioni cliniche, gli

aspetti principali che caratterizzano l’organizzazione

borderline di personalità da un punto di vista clinico

sono: debolezze dell’Io non specifiche (per esempio,

incapacità a controllare gli impulsi o a tollerare l’ansia),

relazioni oggettuali disturbate, difficoltà lavorative

e nelle relazioni sentimentali, patologia sessuale,

patologia del funzionamento morale. In particolare, la

patologia sessuale, che è a sua volta suddivisa in due

livelli principali rappresentati dalla completa inibizione

di qualunque forma di funzionamento sessuale e dalla

sessualità caotica, viene considerato un importante

indice prognostico in quanto strettamente legata alla

severità del disturbo di personalità. Indicatore cruciale

per l’efficacia della terapia è invece rappresentato dalla funzionamento morale. In particolare, la

patologia sessuale, che è a sua volta suddivisa in due

livelli principali rappresentati dalla completa inibizione

di qualunque forma di funzionamento sessuale e dalla

sessualità caotica, viene considerato un importante

indice prognostico in quanto strettamente legata alla

severità del disturbo di personalità. Indicatore cruciale

per l’efficacia della terapia è invece rappresentato dalla

gravità nella patologia del funzionamento morale,

che in termini strettamente psicoanalitici viene definita

come mancata integrazione del Super-Io e che, secondo

Kerneberg, è strettamente influenzata dal livello di

gravità nella diffusione dell’identità.

Relativamente all’eziologia del disturbo borderline di

personalità, infine, Kernberg ne sottolinea soprattutto

la complessità e la multideterminazione. Non è possibile

infatti individuare un singolo percorso disfunzionale,

piuttosto vengono prese in considerazione tre macrocategorie

di determinanti la cui interazione è cruciale

per lo sviluppo del disturbo. In primo luogo, c’è la predisposizione

genetica che a sua volta coinvolge i sistemi

neurotrasmettitori, in special modo quello serotoninergico,

le alterazioni nell’affettività (eccesso di affetti

negativi, aggressività e controllo anormale degli affetti)

e il temperamento. La seconda macrocategoria è rappresentata

dalla relazioni oggettuali che per questi individui

sono spesso caratterizzate da cronica caoticità

e dalla confusione dei confini generazionali, così come

da trascuratezza e dall’esposizione a traumi e/o abusi.

L’ultima macrocategoria è costituita dalla patologia

dall’attaccamento, in particolar modo dall’insicurezza

nell’attaccamento determinata dall’imprevedibilità del

comportamento genitoriale. Nel passare in rassegna

le determinanti eziologiche, è particolarmente interessante

l’integrazione operata da Kernberg tra contributi

teorici più strettamente psicoanalitici e contributi teorici

provenienti dalla teoria dell’attaccamento, esemplificativa

dello spirito con cui si lavora ad Evolution of

Psychotherapy,profondamente ancorato all’idea che

soltanto attraverso il confronto e l’integrazione tra differenti

approcci e prospettive teoriche la psicoterapia

può continuare ad evolversi e a portare innovazione.

  1. La diagnosi di disturbi di personalità:

l’intervista strutturale

Nella seconda parte del workshop, vengono trattati

sinteticamente i fondamenti dell’intervista strutturale,

procedura di valutazione clinica che Kernberg ha sviluppato

e raffinato nel corso degli anni. L’intervista ha

l’obiettivo di operare una diagnosi di disturbo di personalità

attraverso l’esame dei sintomi fisici ed emozionali

e dei problemi relazionali. La Figura 2 mostra gli aspetti

principali sui quali si sofferma l’indagine diagnostica, i

quali vengono rappresentati come elementi di un cerchio

in interazione.

L’intervista comincia con la valutazione della presenza

di eventuali sintomi di Asse I attraverso quattro domande

fondamentali da rivolgere al paziente: “Cosa ti

porta qua?”, “Qual è la natura delle tue difficoltà?”, “Cosa

ti aspetti dal trattamento?”, “Dove ti trovi ora?”. Queste

quattro domande rappresentano per Kernberg un test

immediato dello stato mentale del paziente e del suo

livello di consapevolezza e consentono una prima fondamentale

differenziazione diagnostica tra disturbi di

Asse I e disturbi di personalità. Sempre con l’obiettivo

di individuare lo stato mentale generale del paziente,

Figura 2. Le dimensioni dell’intervista strutturale di Otto Kernberg – Fonte: http://www.evolutionofpsychotherapy.com/handouts/

Kernberg suggerisce di aggiungere a queste una quinta

domanda da chiedere in un secondo momento: “Ti

ricordi le quattro domande che ti ho appena fatto?”. In

breve, se il paziente è in grado di rispondere in maniera

lucida e coerente a queste prime domande è probabile

che si possa escludere la presenza di un disturbo maggiore

sull’Asse I.

Si può quindi proseguire ad indagare la presenza di

un disturbo di personalità attraverso l’indagine degli

aspetti che la caratterizzano e che forniscono un quadro

generale sul funzionamento del paziente. A questo

livello le domande da porre sono: “Potresti raccontarmi

qualcosa della tua vita?”, “Come vanno le cose al lavoro/

scuola, nella tua vita sentimentale/sessuale, sociale

e familiare?”. In questo modo, secondo l’autore, stiamo

chiedendo al paziente della sua personalità e dei suoi

tratti principali. Kernberg suggerisce che, oltre a queste

domande, anche indagare cosa il paziente fa nel tempo

libero ci dà ulteriori informazioni sul suo funzionamento

e sulla gravità di un eventuale disturbo di personalità.

Si arriva così al terzo snodo cruciale dell’intervista, e cioè

l’esame dell’identità, aspetto fondamentale per la valutazione

della presenza di un’organizzazione borderline

della personalità. A questo livello s’indaga l’eventuale

mancanza di integrazione del sé e degli altri significativi

che, come detto in precedenza, sembra essere strettamente

correlata con le due caratteristiche centrali

del paziente borderline: la diffusione dell’identità e la

mancanza di percezione realistica degli altri, che a sua

volta si traduce nei caratteristici problemi nelle relazioni

A questo livello, quindi, le seguenti domande vanno

poste in sequenza: “Mi descriveresti in breve le due o

tre persone più importanti nella tua vita?”, per valutare

l’eventuale mancanza di integrazione degli altri significativi,

e “Ok, adesso dimmi di te. Cosa ti rende diverso

da tutti gli altri?”, per valutare l’eventuale mancanza di

integrazione del sé.

L’esame dell’identità è, secondo Kernberg, l’aspetto più

difficile da valutare, ma allo stesso tempo il più importante per differenziare un’organizzazione nevrotica di

personalità (caratterizzata da rigidità ma da un’identità

sostanzialmente integrata) da una borderline (definita

proprio sulla base della presenza della sindrome dell’identità

diffusa).

Procedendo verso l’ultima parte dell’intervista c’è l’analisi

della presenza e sulla qualità dell’esame di realtà

che consente invece di operare una differenziazione

diagnostica tra un disturbo di personalità, seppur grave,

da una psicosi vera e propria. A questo livello, più

che domande specifiche, è fondamentale l’osservazione

del comportamento, degli affetti, del contenuto

e dell’organizzazione del pensiero, e dell’eventuale

presenza di sintomi positivi. Se l’esaminatore osserva

delle stranezze e/o incongruenze rispetto ad ognuno

di questi aspetti, deve chiedere spiegazioni al paziente.

Per esempio, al paziente che ridacchia mentre racconta

della tragica e recente scomparsa di sua madre, denotando

quindi un’evidente incongruenza tra il contenuto

del racconto e la sua espressione affettiva, bisognerebbe

domandare: “Ho notato che ridacchiavi mentre mi

raccontavi della morte di tua madre, che cosa ne pensi

della mia percezione?”.

Qualora l’analisi dell’esame di realtà induca l’esaminatore

a sospettare la presenza di una psicosi, si passa

all’ultima parte dell’intervista che è costituita dall’esame

tradizionale delle funzioni mentali: sistema sensorio

(attenzione, orientamento, coscienza, comprensione,

giudizio), memoria, intelligenza.

  1. Il trattamento dei disturbi gravi di personalità: la

psicoterapia focalizzata sul transfert

Il trattamento della personalità borderline, soprattutto

nei casi di maggiore gravità, richiede sempre l’integrazione

di psicofarmacologia e psicoterapia. Secondo

Kernberg, infatti, il solo trattamento farmacologico o la

sola terapia, che in genere è prevalentemente di supporto,

non solo sono inefficaci ma rischiano di diventare

controproducenti.

Per quanto riguarda il trattamento farmacologico

Kernberg suggerisce come trattamento d’elezione l’utilizzo

degli inibitori selettivi della ricaptazione della

serotonina (SSRI), particolarmente efficaci sulle disfunzioni

serotoninergiche caratteristiche in questi pazienti.

Accanto agli SSRI è sempre necessario valutare l’eventuale

somministrazione di neurolettici a basso dosaggio,

molto utili per trattare le distorsioni cognitive che

si riscontrano frequentemente in questi soggetti, così

come la somministrazione di stabilizzanti dell’umore,

in quanto recenti mostrano che il 15% degli individui

borderline sono spesso affetti da disturbo bipolare in

comorbidità.

Relativamente alla psicoterapia, Kernberg presenta

brevemente una serie di approcci terapeutici sia di matrice

cognitivo-comportamentale (la Terapia Dialetticocomportamentale

di Linehan e la Schema Therapy di

Young) che di matrice psicodinamica (la Terapia focalizzata

sul transfert elaborata dallo stesso Kernberg, la

Psicoterapia Supportiva di Rockland e la Terapia basata

sulla mentalizzazione di Bateman e Fonagy) di cui le ricerche

hanno mostrato e stanno mostrando un buon

grado di efficacia nel trattamento dei pazienti con disturbi

gravi di personalità e che si configurano quindi

come gli approcci terapeutici d’elezione. In particolare,

le terapie cognitive citate sono state selezionate proprio

perché le ricerche ne hanno mostrato l’efficacia

per affrontare e trattare sintomi specifici e circoscritti,

che spesso rappresentano l’unico obiettivo terapeutico

possibile per questi pazienti.

Ancora una volta Kernberg mostra un esempio di integrazione

riuscita tra differenti prospettive teoriche e cliniche

e, allo stesso tempo, propone un approccio all’intervento

terapeutico moderno e strettamente ancorato

ai concetti di ricerca clinica e di efficacia.

Qualora l’obiettivo terapeutico non sia costituito esclusivamente

dalla risoluzione di un singolo sintomo o

di un gruppo di sintomi ben definiti, ma piuttosto dal

cambiamento globale del paziente, trattamento d’elezione

è la terapia che Kernberg ha sviluppato e denominato

psicoterapia focalizzata sul transfert, approccio

terapeutico i cui presupposti teorici possono essere individuati

nella teoria delle relazioni oggettuali e che ha

come finalità la risoluzione della diffusione dell’identità

alla base dei disturbi gravi di personalità. 5.1 Elementi teorici

Nella teoria delle relazioni oggettuali il sé e gli altri

sono considerati due blocchi distinti tenuti insieme

dagli affetti. Questa configurazione sé-altro e affetto

che li tiene insieme viene definita dall’autore la diade

delle relazioni d’oggetto. Nell’organizzazione di personalità

normale l’esperienza di sé e degli altri è integrata

in quanto la maggioranza di esperienze positive sperimentate

nella relazione con gli altri significativi consente

la sopportazione di quelle negative e persecutorie.

Nella personalità borderline, invece, si costituisce

quella che Kernberg chiama un’organizzazione scissa;

quest’ultima è caratterizzata da una totale separazione

tra stati positivi e negativi e determina quindi una polarizzazione

in senso solamente negativo o solamente

positivo delle diadi sé-altro. In questi soggetti, infatti,

la frequente esposizione ad esperienze traumatiche ha

come conseguenza una predominanza di segmenti negativi

che non possono in alcun modo entrare in contatto

con quelli positivi per pervenire ad una successiva

integrazione. Secondo Kernberg, nel momento in cui si

risolve questa scissione, si risolve la diffusione dell’identità

ed è possibile quindi giungere ad un cambiamento

della personalità.

Nel corso della terapia si verifica nel paziente l’attivazione

delle sue relazioni oggettuali interne nella relazione

con il terapeuta. Queste relazioni internalizzate con gli

altri significativi non sono mai rappresentazioni letterali

delle relazioni passate, piuttosto sono modificate

dalle fantasie e dalle difese del soggetto. In particolare,

nei pazienti con organizzazione borderline le relazioni

oggettuali interne presentano le due caratteristiche seguenti:

  1. a) sono state segregate e scisse l’una dall’altra;
  2. b) includono fantasie persecutorie e relazioni idealizzate.

La psicoterapia focalizzata sul transfert ha proprio

l’obiettivo di lavorare sulle relazioni oggettuali che si attivano

in un particolare momento all’interno della terapia

ed è quindi definita da Kernberg una terapia vicina

all’esperienza perché si basa sull’esperienza immediata

del paziente all’interno del setting terapeutico.

5.2 Elementi di tecnica

Dal punto di vista più strettamente tecnico, la psicoterapia

focalizzata sul transfert è caratterizzata dalla relazione

tra: strategie (obiettivi a lungo termine), tecniche

(interventi coerenti del terapeuta che affrontano ciò

che avviene momento per momento all’interno della

terapia) e tattiche (compiti messi a punto per ogni

seduta che definiscono le condizioni per le tecniche).

È inoltre una terapia che prevede una frequenza di due

sedute a settimana, per consentire al transfert di svilupparsi

e, allo stesso tempo, per consentire al terapeuta

di tenere sotto controllo cosa avviene nella vita del paziente. sotto controllo cosa avviene nella vita del paziente.

Per quanto riguarda le strategie che, come abbiamo visto,

possono essere considerate gli obiettivi che il terapeuta

si propone di raggiungere nel corso della terapia,

Kernberg ne individua quattro:

  • Definire la relazione oggettuale dominante.
  • Osservare ed interpretare l’inversione di ruoli che caratterizza

le relazioni oggettuali del paziente (a questo

proposito è importante sottolineare che il paziente si

identifica con l’intera relazione/diade, non soltanto con

un aspetto di questa; pertanto il ruolo di “sé” e quello di

“oggetto” sono interscambiabili nelle relazioni, soprattutto

in relazione ai segmenti idealizzati e a quelli persecutori

che si attivano in ogni seduta).

  • Osservare e interpretare (interpretazione integrativa) i

legami tra diadi di relazioni d’oggetto che sono tenute

separate nella consapevolezza del soggetto, con l’obiettivo

di integrare i segmenti persecutori e idealizzati

dell’esperienza. E’ proprio questo intervento che, secondo

Kernberg, risolve la diffusione dell’identità.

  • Sperimentare una relazione come diversa dal transfert,

e cioè lavorare attraverso la capacità del paziente

di distinguere il transfert dalla relazione interpersonale

reale con il terapeuta al fine di espandere questa capacità

anche al di fuori della terapia.

Relativamente alle tecniche, queste vengono approfondite

in particolare dettaglio. La prima raccomandazione

è quella di utilizzarle ponendo sempre particolare attenzione

a tre canali di comunicazione: la comunicazione

verbale del paziente, la comunicazione non verbale

del paziente e il controtransfert del terapeuta. Questi

ultimi due canali sono spesso i più importanti nelle prime

fasi della terapia con i pazienti borderline.

Le tecniche che caratterizzano la psicoterapia focalizzata

sul transfert sono:

  • Il processo interpretativo, considerato il mezzo d’elezione

per aumentare la capacità di mentalizzazione e

caratterizzato dalla combinazione di tre tecniche proprie

della psicoterapia psicodinamica: la chiarificazione,

il confronto e l’interpretazione. Per quanto riguarda l’interpretazione,

l’atteggiamento tecnico ideale suggerito

da Kernberg è quello di procedere con cautela dalla

superficie alla profondità.

  • L’analisi del transfert, e cioè l’analisi sistematica delle

distorsioni della relazione basata sul “ciclo dell’interpretazione”

e cioè sull’utilizzo combinato delle tre tecniche

caratterizzanti il processo interpretativo (chiarificazione,

confronto, interpretazione) in tre momenti successivi.

Innanzitutto il paziente va aiutato a chiarificare

l’esperienza emozionale che a livello consapevole sta

vivendo nel transfert, in particolar modo in relazione alle specifiche rappresentazioni del sé e dell’oggetto

rispettivamente agite e proiettate sul terapeuta.

Quindi, è necessario far confrontare il paziente con il

fatto che la relazione d’oggetto che sta attualizzando

in quel particolare momento del transfert, e di cui sta

facendo esperienza a livello emotivo, è una relazione

che ha messo in atto in altri momenti della terapia ma

con i ruoli invertiti. Infine, è possibile utilizzare l’interpretazione

per operare un collegamento tra le relazioni

idealizzate e persecutorie attivate con l’analista delle

quali il paziente ha consapevolezza ma che mantiene

difensivamente scisse attraverso il diniego.

  • La gestione tecnica della neutralità, e cioè l’assunzione

di un atteggiamento quanto più possibile oggettivo

e non dettato da un coinvolgimento nella problematica

del paziente. In pratica, Kernberg si riferisce al costante

mantenimento della posizione di osservatore in relazione

al paziente e alle sue difficoltà. La neutralità è considerata

essenziale nell’approccio terapeutico focalizzato

sul transfert e la sua perdita viene ritenuta una minaccia

alla sicurezza del paziente, degli altri e del trattamento

stesso. La gestione della neutralità è una questione

particolarmente importante perché quando si trattano

pazienti con disturbi di personalità gravi si corre sempre

il rischio di lasciarsi travolgere dalle loro tempeste

emotive e ci si scontra inevitabilmente con forti conflitti

di natura fondamentalmente aggressiva; emergenze e

situazioni critiche sono quindi molto frequenti all’interno

di queste terapie. Di conseguenza, la neutralità

diventa un atteggiamento essenziale per la sicurezza

del terapeuta e quindi del paziente. Infatti, soprattutto

quando si verificano delle emergenze, se il terapeuta

non fosse in grado di garantirsi la propria sicurezza,

non potrebbe essere di alcun aiuto al suo paziente. In

questo senso, secondo Kernberg, la sicurezza del terapeuta

diventa più importante di quella del paziente. E’

pur vero, però, che quando gli acting out del paziente

rappresentano una seria minaccia per se stesso, per gli

altri o per il trattamento, come nel caso del comportamento

suicidario, è concessa al terapeuta una perdita

temporanea dell’atteggiamento di neutralità, che va

però ripristinato ed interpretato al paziente quando la

crisi è superata. Tutte le altre deviazioni da un corretto

atteggiamento di neutralità sono invece attribuite da

Kernberg all’effetto del controtransfert.

  • Utilizzo della consapevolezza controtransferale, strumento

essenziale per capire cosa sta avvenendo nel

transfert del paziente così da poterlo identificare e poi

interpretare. E’ importante però che il terapeuta lo tolleri

e non scappi da esso se vuole che si trasformi in una

riflessione e, di conseguenza, in uno strumento prezioso

e funzionale alla terapia. Vengono descritte due

forme particolari che può assumere il controtransfert e

che sono definite: identificazione concordante, che si

verifica quando il terapeuta s’identifica con l’esperienza

del sé del paziente, e identificazione complementare,

che si verifica invece quando il terapeuta s’identifica

con gli oggetti interni ed esterni con cui è in relazione

il paziente. particolari che può assumere il controtransfert e

che sono definite: identificazione concordante, che si

verifica quando il terapeuta s’identifica con l’esperienza

del sé del paziente, e identificazione complementare,

che si verifica invece quando il terapeuta s’identifica

con gli oggetti interni ed esterni con cui è in relazione

il paziente.

L’ultimo cardine del trattamento basata sul transfert è

infine costituito dalle tattiche, e cioè da tutti gli aspetti

della terapia più propriamente legati al setting. Il terapeuta

a questo proposito deve prestare particolare attenzione

a una serie di questioni rilevanti soprattutto in

presenza di gravi disturbi di personalità:

  • Definire il contratto: fondamentale per proteggere la

sopravvivenza del paziente, del terapeuta e del trattamento

e per eliminare i vantaggi secondari legati alla

patologia.

  • Mantenere la cornice e i confini del trattamento per

tenere sotto controllo gli acting out frequenti con i pazienti

borderline

  • Selezionare il focus dell’attenzione e degli interventi

sulla base di ciò che è affettivamente dominante, ciò

che si manifesta all’interno del transfert e sulla base

delle priorità generali del trattamento.

  • Mantenere una percezione della realtà comune.
  • Analizzare sia il transfert positivo che quello negativo.
  • Regolare l’intensità del coinvolgimento affettivo.

Tutti questi aspetti sono di importanza centrale nel

trattamento dei pazienti borderline i quali, a causa della

natura stessa della patologia, richiedono al terapeuta

di strutturare una cornice terapeutica stabile e costante

che possa contenere e contrastare un comportamento

imprevedibile e caotico. Sono numerose, infatti, le

minacce al trattamento e le resistenze poste da questi

pazienti che rendono la terapia particolarmente

insidiosa e impegnativa. Si pensi ai caratteristici comportamenti

suicidari e/o autodistruttivi dei pazienti

borderline, all’abuso di sostanze, ai disturbi alimentari,

alle frequenti intrusioni nella vita privata del terapeuta,

per esempio attraverso un eccesso di telefonate, alle

menzogne, agli acting out all’interno e/o all’esterno del

setting terapeutico. Tutti questi aspetti tipici dell’organizzazione

borderline di personalità vanno immediatamente

affrontati e tenuti sempre sotto controllo come

prerequisito fondamentale affinché la terapia stessa

possa realizzarsi.

In conclusione, soltanto dopo aver strutturato un contesto

sicuro per il terapeuta e per il paziente, in cui sono

chiari i ruoli e le responsabilità di ognuno e in cui sono

sancite precise regole, e dopo aver raggiunto un controllo

sui comportamenti più impulsivi e pericolosi del

paziente, è possibile cominciare ad attribuire significato

alle dinamiche di transfert che si dispiegano all’interno

della cornice terapeutica e che per Kernberg rappresentano

lo strumento d’elezione attraverso il quale

ottenere il cambiamento.

 

Bibliografia

Caligor, E., Kernberg, O.F., & Clarkin, J.F. (2007). Handbook of Dynamic Psychotherapy for Higher Level Personality Pathology. Washington,

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Caligor, E., Diamond, D, Yeomans, F.E. & Kernberg O.F. (2009). The Interpretive Process in the Psychoanalytic Psychotherapy of Borderline

Personality Pathology. Journal of the American Psychoanalytic Association.

Clarkin, J.F., Yeomans, F., & Kernberg, O.F. (2006). Psychotherapy of borderline personality: Focusing on object relations. Washington,

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